Sono passati oltre venti anni dalla “Riforma Dini” che modificò il sistema pensionistico italiano tramite un graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
La riforma era incentrata sullo sviluppo di un sistema pensionistico basato su due pilastri, di cui il primo rappresentato dalla previdenza obbligatoria, che assicura la pensione pubblica, il secondo rappresentato dalla previdenza complementare, per l’erogazione di trattamenti pensionistici integrativi del sistema obbligatorio al fine di assicurare più elevati livelli di copertura pensionistica complessiva. Lo Stato favorì tale scelta riconoscendo un trattamento fiscale favorevole dei contributi e delle prestazioni sia per i lavoratori che si iscrivono che per le imprese.
Anche nella terminologia utilizzata “complementare” si evidenziava il carattere accessorio di quella pubblica.
Dopo l’intervento effettuato sul sistema pensionistico dal Governo Monti, che dal 1° gennaio 2012 ha esteso il calcolo contributivo anche a coloro che avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, per i quali la “Riforma Dini” manteneva il calcolo retributivo, il sistema pubblico obbligatorio e quello privato complementare oggi concorrono, in maniera diversa ma ormai indissolubile, alla realizzazione del medesimo risultato. Quello della predisposizione di quei “mezzi adeguati alle esigenze di vita (dei lavoratori) in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” previsti dall’art. 38, comma 2°, della Costituzione.
Questo convincimento deve essere radicato e diffuso specie all’interno della previdenza complementare di natura negoziale, se vogliamo riaffermare una “diversità” rispetto ad altre forme pensionistiche complementari (fondi pensione aperti e Pip), una peculiarità che si arricchisce di contenuti sociali, un valore aggiunto per i lavoratori e le lavoratrici che a noi si rivolgono con fiducia. Va infatti chiarito, una volta per tutte, che è essenziale la distinzione fra previdenza complementare di natura collettiva e previdenza complementare individuale.
Negli ultimi anni la consapevolezza della complessità del problema previdenziale è certamente cresciuta anche per la mobilitazione delle parti sociali e per l’impegno che la contrattazione collettiva ha dedicato a questo tema.
La previdenza complementare quindi è un “bene sociale”, che occorre riempire di contenuti e valorizzare tramite una iniziativa a tutto campo, che ci veda impegnati a rilanciare le adesioni ma anche a riempire di contenuti sociali e collettivi le forme pensionistiche di natura collettiva e negoziale che offriamo ai lavoratori e alle lavoratrici.
In questo senso il Fondo PEGASO dal 1998, anno della sua costituzione, ad oggi ha ottenuto risultati apprezzabili come, ad esempio, aver consentito l’adesione al Fondo dei famigliari fiscalmente a carico degli iscritti.
Oppure come, ricordando che i versamenti fatti a PEGASO dall’azienda e dal lavoratore iscritto sono deducibili dal reddito complessivo fino ad un massimo di € 5.164,57, la possibilità di effettuare versamenti volontari aggiuntivi, secondo le proprie possibilità, rispetto a quelli contrattualmente previsti e anch’essi dedotti dall’imponibile fiscale.
Sulla tematica dei versamenti aggiuntivi va considerata pure la possibilità, in base alla Legge di stabilità 2017, del versamento di parte o tutto del premio di produttività.
In questo caso l’importo versato non sarà tassato né in fase di versamento, né in fase di prestazione. Inoltre, l’importo versato non riduce l’ammontare massimo dei contributi deducibili pari a € 5.164,57: è sempre deducibile anche nel caso in cui fosse eccedente l’ammontare massimo.
Altro risultato da richiamare è costituito dalla possibilità di suddividere la propria posizione su due comparti per ridurre la rischiosità dell’investimento.
La posizione dell’iscritto può essere investita in un unico comparto oppure suddivisa su due comparti di investimento, in percentuale da egli stabilita, rispettando una proporzione in numeri interi multipli di 5% (ad esempio 5% e 95%, 10% e 90%, 15% e 85%).
Forte rilevanza assume il Piano strategico di comunicazione di cui si è dotato PEGASO che è stato presentato e condiviso con le segreterie nazionali di Filctem, Femca, Flaei, Uiltec e con Utilitalia.
Gli obiettivi generali sono il rafforzamento del rapporto associativo con gli aderenti, l’accrescimento del tasso di adesione, la costruzione della Rete degli Esperti di PEGASO nelle Aziende, la formazione degli Esperti di PEGASO, la costituzione di sportelli informativi di PEGASO in azienda.
Infine, non può mancare il richiamo dei risultati economici di PEGASO al 31 dicembre 2017: il Comparto Bilanciato ha avuto un rendimento del 2,81% il Comparto Dinamico del 4,69% ed il Comparto Garantito dello 0,55%.
Da sottolineare come il Comparto Bilanciato, che raccoglie l’82% del patrimonio, abbia avuto un rendimento cumulato composto negli ultimi 15 anni pari al 91,86% (rendimento medio annuo composto 4,44%) Nello stesso periodo la rivalutazione cumulata del Tfr è stata pari al 42,54% (rendimento medio annuo composto 2,33%).
L’andamento positivo dei comparti di PEGASO, associato al contributo aziendale e ai vantaggi fiscali di cui hanno beneficiato gli aderenti, rendono indubbia la convenienza della scelta effettuata dagli iscritti a PEGASO.
Possiamo affermare che i risultati raggiunti in questi anni da PEGASO costituiscono elementi concreti di partecipazione e di democrazia economica, certamente da sviluppare ulteriormente, ma che vanno sicuramente nella giusta direzione.
Al momento delle prossime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea di PEGASO, il voto alla lista Femca-Flaei CISL contribuirà all’ulteriore sviluppo della contrattazione del welfare contrattuale e a proseguire nel consolidamento degli attuali strumenti per un miglioramento delle prestazioni ed erogazioni.
Paolo Bicicchi
Consulta il sito di Fondo Pegaso per maggiori informazioni