Gli ultimi dati ci dicono che siamo in una fase di pieno recupero della produzione industriale; abbiamo un punto e mezzo in più della fase pre-covid con la prospettiva di andare oltre il Def e di posizionarci intorno al 6% .
Abbiamo una ripresa che è partita e che va sostenuta assieme alla ricostruzione economica, sociale e occupazionale; abbiamo una massa di risorse da programmare derivanti dal Pnrr e che speriamo il governo voglia condividere con il sindacato; abbiamo tutta la partita della transizione energetica e della modalità di gestione; abbiamo da rivedere le politiche industriali e tanto altro ancora.
Siamo quindi in una fase straordinaria, inedita, caratterizzata da profondi cambiamenti che interesseranno la nostra società e le nostre aziende.
Ed è per questo che non possiamo restare prigionieri a lungo su un dibattito politico e sociale solo parlando di vaccini e green pass. Dobbiamo avere lo sguardo oltre l’emergenza rimettendo al centro il lavoro e le sue trasformazioni.
Perché in questa fase straordinaria e di profondi cambiamenti noi abbiamo anche grandi opportunità che è necessario saper cogliere.
Ci troviamo, per la prima volta, nella possibilità concreta di: ricostruire un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, tra impresa e lavoratori, dove formazione, welfare e partecipazione possano diventare parte di un rinnovato scambio che sta dentro il contratto, scongiurando così i tentativi di chi cerca di confinare il lavoro dentro le rigidità legislative ( decreto dignità, salario minimo ecc).
Dobbiamo rinegoziare un modello di organizzazione del lavoro che tenga conto di questa fase epocale di passaggio dalla vecchia economia alla nuova economia digitale dell’impresa.
Lo possiamo fare valorizzando di più la partecipazione dei lavoratori al destino e al futuro dell’impresa. Io credo che sia questa una delle grandi sfide che il sindacato ha davanti a sè e, per realizzarla, bisogna avere il coraggio di modificare il paradigma del sistema delle relazioni industriali e sindacali per tenere bene insieme la rappresentanza, la tutela del lavoro e della sua qualità.
Perché – dobbiamo dirci senza tanti infingimenti- questo sistema relazionale non ci permette di stare dentro gli organismi di sistema e della formazione e quindi di partecipare alla catena del valore che nasce e si sviluppa sul territorio. Non ci permette di rendere più pervasiva la contrattazione di secondo livello che non supera il 25%, ma neanche di regolare lo squilibrio sul territorio dovuto ad una disomogenea diffusione: il 75% della contrattazione viene fatta al nord, il 17% al centro e l’8% al sud.
L’obiettivo è rafforzare la contrattazione in modo che il lavoro possa tornare protagonista di una nuova stagione così da contribuire alla creazione di una società più equa, più solidale e più inclusiva.
I processi di partecipazione sono oramai processi irreversibili per il futuro del sindacato sui quali serve una legge quadro anche se in questi ultimi dieci anni sono stati depositati al senato ben tre disegni di legge: Treu/castro nel 2008, Sacconi nel 2015, Casini nel 2018, tutti con scarso successo.
Io penso che in attesa di una legge quadro in grado di regolamentare questa fattispecie il sindacato deve spingere di più su questo argomento partendo dagli strumenti che l’attuale legislazione mette a disposizione. Come Femca in Friuli Venezia Giulia abbiamo realizzato quattro accordi utilizzando la norma sul coinvolgimento paritetico dei lavoratori nei processi produttivi; nell’ultimo, siglato di recente, abbiamo anche concordato la presenza del sindacato nel consiglio di amministrazione mutuando una noma approvata di recente dalla Regione Fvg che incentiva le aziende che attuano questi processi ( art.88 legge regionale 3 del 2021 Sviluppoimpresa).
Dentro questo scenario dobbiamo anche parlare e riflettere di più sulla transizione energetica. Questo è un argomento che interessa in modo trasversale tutti i settori. Bisogna scongiurare che la decarbonizzazione e la pandemia diventino giustificazioni per vere e proprie ristrutturazioni e chiusure, con perdita di professionalità e di possibilità di lavoro.
In Friuli Venezia Giulia abbiamo bisogno di costituire velocemente un tavolo di concertazione perché su questo argomento la Regione Fvg sta andando avanti in perfetta solitudine e senza coinvolgere le parti sociali; ha già definito e deliberato il posizionamento rispetto all’agenda 2030 relativo allo sviluppo sostenibile. E’ stato inoltre avviato un progetto sperimentale, unico in ambito nazionale, meglio identificato come “progetto Nipoti”.
Con questo progetto il Friuli Venezia Giulia punta ad essere la regione pilota del green deal europeo raggiungendo la neutralità energetica, emissioni zero, con almeno cinque anni di anticipo rispetto al 2050.
Questo si realizzerebbe attraverso un’opera di efficientamento energetico dell’intero sistema regione e il contestuale incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Da questo punto di vista la Regione ha già fatto un accordo con Snam per l’utilizzo dell’idrogeno. Con questo progetto si stima un risparmio di due miliardi di euro all’anno. Inoltre, nell’ottobre del 2022, convocherà e condurrà ‘Stati Generali dell’Ambiente e del Clima dell’Adriatico e Centro Europa’ in collaborazione con la Repubblica di Slovenia, le Contee dell’Istria e Litoraneo Montana della Croazia, la regione della Carinzia, la Regione Veneto, la Regione Emilia- Romagna.
Il sindacato non può stare fuori da questa programmazione strategica del territorio e dell’economia tanto più perché non si conoscono gli effetti sul piano sociale, né si capisce se i risparmi contribuiscano a creare filiere produttive alternative capaci di stare dentro le transizioni digitali e ambientali.