19 Dicembre 2019
In Fvg 45mila disoccupati richiedono azioni e risposte concrete.Quarantacinquemila disoccupati, a cui vanno aggiunte le circa 10mila persone impiegate in aziende in crisi, che hanno attivato procedure come la cassa integrazione o le ferie forzate; 35mila giovani che non studiano né lavorano e che rimangono “socialmente esclusi”: vale a dire circa 90mila persone che in Friuli Venezia Giulia scontano non solo le varie crisi di mercato, ma soprattutto l’inerzia di una politica incapace di immaginare e realizzare strategie industriali concrete e di prospettiva.
Il segretario regionale della Cisl Fvg, Alberto Monticco, dal consiglio generale del Sindacato, riunito stamani a Cividale alla presenza di Annamaria Furlan, non ci sta ad usare mezzi termini: “Oltre alle crisi già segnalate da tempo, solo in questi ultimi giorni se ne sono aggiunte altre due, Kipre di San Dorligo della Valle e Safilo di Martignacco, esempio lampante dell’inefficacia dell’azione politica: cosa si vuole aspettare ancora per avviare politiche industriali degne di tale nome nella nostra regione, così come per avere un tavolo permanente con gli assessorati di industria e lavoro?”. “La soluzione alle crisi – incalza Monticco – non può certo essere quella di travasare i lavoratori da un’azienda all’altra, come si è tentato di fare con Eaton e come si vorrebbe fare con i lavoratori della Ferriera di Servola, verso Fincantieri. Ora attendiamo di vedere come funzionerà il Piano Sviluppo Impresa. Ringraziamo l’assessore Bini per la sua presenza oggi e per il confronto mantenuto, ma, inutile nascondere, che avremmo preferito una maggiore rapidità nella realizzazione del provvedimento. Bene, invece, l’apertura che ha voluto dare rispetto alla necessità di lavorare assieme per prevenire nuove ulteriori crisi e trovare soluzione a quelle in corso.”.
“C’è poi un’altra amara constatazione da fare, senza volere alimentare polemiche o guerre fra stabilimenti e sapendo che tutti i lavoratori vanno tutelati e difesi: ancora una volta, dopo il caso Ideal Standard, quando c’è da chiudere uno stabilimento fra Veneto e Friuli Venezia Giulia, si chiude quello in casa nostra. Pura casualità? Parametri produttivi? Colpa delle infrastrutture non adeguate? Colpa della nostra classe politica (sia l’attuale, sia la precedente, visti i casi)?” – si domanda Monticco.
Allo stato dell’arte – si legge in una nota della Cisl Fvg – quello che chiediamo, anche assieme a Cgil e Uil, è un’inversione di rotta e l’apertura di un tavolo di concertazione con la Regione su cui poter discutere in maniera sistemica degli orientamenti globali della Giunta, della sua idea di società, di inclusione, di sostegno alla persona, di sviluppo, andando a costruire percorsi reali e concreti di sostegno alle persone, attraverso politiche passive e soprattutto attive, e una forte tutela socio-assistenziale.
“Si tratta di un passaggio fondamentale che manca da due anni a questa parte – spiega ancora Monticco – e la cui assenza va ad incidere pesantemente non solo sulla situazione occupazionale complessiva, ma anche sulla tenuta sociale del Friuli Venezia Giulia, considerando anche che le maglie della povertà si stanno drammaticamente allargando, richiedendo servizi di accompagnamento e interventi ben più strutturali di quelli previsti dalla Finanziaria regionale e senz’altro più efficaci del reddito di cittadinanza”.
Quanto all’altro grande pilastro del bilancio, ovvero la sanità, per la Cisl restano intatti alcuni nodi da sciogliere: così la questione del taglio nazionale dell’1,4% del personale sanitario, con il Sindacato in appoggio al ricorso presso la Corte Costituzionale e agli emendamenti presentati trasversalmente dai parlamentari regionale, ma anche le annose questioni che riguardano, in particolare, i nuovi assetti aziendali derivanti dalla fine dei commissariamenti, la continuità assistenziale e l’assistenza territoriale e socio-sanitaria, le liste d’attesa, gli accessi al pronto soccorso, l’auspicata e fattiva integrazione tra ospedale e territorio.
Ai lavori del consiglio generale è intervenuta anche la segretaria nazionale della Cisl, Annamaria Furlan, che, richiamando le parole del Presidente Mattarella all responsabilità della politica, è entrata subito nel merito delle vicende nazionali: “Sarà un Natale triste per i 300mila lavoratori coinvolti nelle 160 crisi aziendali ferme al Mise. Bisogna – ha detto, riportando anche i casi di Ilva ed Alitalia – mettere al centro il valore e la centralità del lavoro e della persona affinché le sorti degli uomini e donne del lavoro di questo Paese non diventino oggetto di speculazione e di un braccio di ferro della politica perché quando è così il disastro è annunciato”.
”In generale – ha aggiunto la numero uno della Cisl – il nostro giudizio sulla manovra del Governo è di insufficienza, che non dipende dalla colorazione del governo. La verità è che non c’è stata quella discontinuità nella politica economica che chiedevano al Conte Uno e che abbiamo chiesto al Conte Due. Serviva e serve agire sulla tastiera della crescita: mancano le risorse per gli investimenti in innovazione, la ricerca, la formazione; manca lo sblocco dei 75 miliardi per le nuove infrastrutture, manca una vera riforma fiscale che premi le buste paga e le pensioni, non ci sono le risorse sufficienti per rinnovare i contratti. Non basta ed è insufficiente la riduzione del cuneo fiscale. E’ impensabile come vuole fare il Governo di utilizzare i medici specializzandi al terzo anno nelle corsie, senza che abbiano completato la loro formazione. Cosi come è impensabile di tenere in corsia i medici settantenni. Non è cosi che si garantisce il diritto universale salute in tutta Italia. Bisogna fare i concorsi pubblici e stabilizzare i 350 mila precari che ci sono nella pubblica amministrazione, nella scuola e nella sanità”. Intervenendo a tutto Tondo, Furlan si è anche soffermata sulle situazioni di crisi del Friuli Venezia Giulia, a partire da Safilo e Ferriera di Servola: “E’ evidente – ha detto – che anche in questa regione si sta vedendo quello che stiamo vivendo in tutto il Paese. Sono oltre 160 le crisi industriali sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico e per adesso non se n’e’ risolta positivamente nemmeno una. Tanti anni di assenza di politica per l’impresa e l’industria e la mancanza totale di una strategia di politica industriale per il Paese determinano purtroppo tutto questo. Dobbiamo cambiare marcia. L’impresa, il lavoro, gli uomini e le donne devono essere al centro delle scelte, non possono essere residuali; ci vuole un po’ di responsabilità d’impresa. E serve un intervento forte, che si fa se innanzitutto le istituzioni mettono come priorità il lavoro. Troppo spesso, invece, vediamo la politica concentrata su altre cose che sono sicuramente importanti, ma meno importanti del futuro industriale del nostro Paese”. Quanto alla situazione della ferriera di Servola, Furlan è stata altrettanto chiara: “Non possiamo accettare che si debba scegliere: tutela ambientale oppure lavoro. Speravamo di aver superato questa antitesi lavoro-ambiente, impresa-ambiente e invece no, ancora oggi si continua a ragionare come se l’insediamento industriale fosse contro l’ambiente, come se non si potesse creare una compatibilità tra il risanamento industriale, il risanamento del territorio in modo che una persona non debba scegliere se respirare aria inquinata, bere acqua inquinata oppure rimanere senza lavoro. Questo è inaccettabile: in modo particolare per quanto riguarda la produzione dell’acciaio”. Non poteva, infine, mancare un passaggio su Fca-Psa: “La presenza di due rappresentanti dei lavoratori nel cda segna un cambiamento decisivo nelle relazioni industriali in Italia e in Francia: i lavoratori entrano nella stanza dei bottoni. E’ una rivoluzione copernicana e questa è la strada per alzare la produttività, la qualità dei prodotti ed anche i salari, accantonando l’antagonismo sterile. Noi ci batteremo perché ora anche altre grandi aziende private e pubbliche seguano questo modello partecipativo e porre e basi per un nuovo incontro tra capitale e lavoro, dare dignità alla persona”. Furlan ha anche evidenziato “la totale assenza del governo italiano su
questa fusione. Il governo tedesco o francese si occupano in maniera determinante dell’industria e pongono indicazioni precise per salvaguardare siti produttivi, occupazione e sedi operative, oltre a mettere al riparo e ricercare ruoli di primo piano per il management delle loro aziende. In Italia, invece, manca una linea strategica di politica industriale da parte ditutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni. E il risultato si vede per le vicende spinose di Arcelor Mittal, Alitalia, Alcoa, Termini Imerese, Whirpool”.